Il mio ultimo romanzo giallo di recente pubblicazione, dal titolo “Ho pianto tanto a Tripoli” e scritto con il nome d’arte di Tommaso Picasso, mostra in copertina due vecchie fotografie in cui appare un grosso mezzo corazzato. Cosa ha a che vedere un carro armato con Tripoli e con un’avventura poliziesca ambientata nel 1932?
È presto detto: il suddetto carro armato svolge un piccolo, ma significativo, ruolo nell’indagine che porterà il commissario Antonio Valeri, con l’aiuto del giornalista Giovan Battista Picasso, alla risoluzione di ben due crimini collegati. Per saperne di più, basta leggere il libro!
Adesso, invece, vorrei raccontare la storia di questo mezzo militare “scomparso”, storia che non ho voluto includere nel romanzo per non appesantirlo.
Come molti sanno, la prima guerra mondiale (1914-1918) si trasformò presto in un conflitto statico, in special modo sulle pianure di Francia, Belgio e un po’ tutto il “Fronte Occidentale”. Proprio per superare le trincee, i reticolati e il fuoco micidiale delle mitragliatrici – che mietevano vittime tra i soldati – venne ideata e approntata una nuova arma: il carro armato. I primi a impiegarlo sul campo furono i britannici nel 1916, seguiti dai francesi e infine dai loro nemici tedeschi. Nel 1917 la Fiat, di propria iniziativa, presentò un suo modello di carro armato, il Fiat 2000: pesante, di grosse dimensioni, armato con mitragliatrici e un cannone.
L’Italia, che combatteva sull’aspro fronte alpino dove si andava a dorso di mulo e già era difficile spostare le artiglierie, non aveva necessità di un mezzo del genere e, difatti, non lo fece mai combattere. Anche perché, di lì a pochi mesi, il conflitto ebbe fine.
Il Fiat 2000, però, non dispiacque del tutto ad alcuni illuminati ufficiali del nostro esercito, che avevano presagito un futuro favorevole alla meccanizzazione e alla guerra corazzata. I due esemplari di Fiat 2000 costruiti vennero messi assieme ad altri carri armati acquistati dalla Francia pronti a costituire, negli anni a venire, il nucleo della specialità carrista, assieme a nuovi mezzi di fabbricazione nazionale.
Qualche mese dopo la fine delle ostilità, quando le spese militari erano all’ultimo posto nella lista di priorità dei governi del nostro Paese (e di altri), uno dei due Fiat 2000 venne inviato a Tripoli assieme ad altri corazzati. Nelle regioni libiche della Tripolitania e della Cirenaica, da anni colonie italiane, operavano guerriglieri senussiti che, come si può capire, si opponevano al dominio estero dei loro territori. Armi, veicoli e soldati servivano per mantenere l’ordine e fare da deterrente.
È a questo punto che del Fiat 2000 si perdono le tracce, a parte alcune fotografie che lo ritraggono in occasioni ufficiali, due delle quali sono state da me inserite nella copertina del libro. Nella storia che racconto, di pura finzione, mi sono immaginato una fine particolare di questo colosso corazzato, legata a uno dei personaggi sospettati di un brutale quanto misterioso omicidio.
L’altro Fiat 2000, quello rimasto in patria, ebbe miglior fortuna, per così dire. Venne utilizzato per dimostrazioni fino agli anni Trenta, quando si decise di esporlo come monumento. Con ogni probabilità, in seguito venne demolito per riutilizzare le sue corazze e il resto. Nel 1940, ricordiamolo, fu promulgata una legge che imponeva di smontare le ringhiere di ferro delle case, fondere campane di bronzo e consegnare pentole di rame allo scopo di recuperare metallo atto alla fabbricazione delle armi. L’Italia era entrata in una nuova guerra mondiale, che si sarebbe rivelata ancor più rovinosa della precedente.
P.S. Di recente, grazie a donazioni di privati e all’impegno di associazioni (su tutte, Raggruppamento SPA), a cura dell’Associazione Nazionale Carristi d’Italia, è stata realizzata una replica marciante del Fiat 2000. È visibile presso il Museo Civico delle Forze Armate 1914 – 1945 situato a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza.