Heinrich Schliemann, l’apostolo di Omero

La sua esistenza fu prigioniera di una sola ossessione – trovare i resti della città di Troia – che, nel 1871, riuscì a trasformare in “ realtà”. Riuscì a fare della propria vita un grande romanzo. La sua morte misteriosa: fu avvelenato dalla mafia?   

(Domenico  Della  Monica)

Il giorno di Natale del 1890, a Napoli, nella piazza della Santa Carità, un uomo cadde improvvisamente a terra,

senza un grido. Una folla di curiosi gli si fece intorno: l’uomo era anziano, malvestito, nelle tasche non aveva soldi né documenti di sorta. Gli chiesero chi fosse, ma non rispose. Era cosciente, ma sembrava che avesse perso la parola. Lo portarono all’ospedale dove ad una più accurata ispezione gli trovarono in tasca un foglietto con l’indirizzo di un famoso medico, il prof. Cozzolino. Questi, giunto poco dopo, mostrò subito una grande deferenza verso quell’uomo che i medici di guardia avevano sistemato nelle corsia comune: egli era infatti uno dei suoi clienti più ragguardevoli. A riprova che non si trattava di un pover’uomo qualsiasi, gli trasse dal mantello un sacchetto notato nel corso di una visita precedente. I presenti rimasero sbalorditi: quel sacchetto era pieno di monete d’oro. L’uomo morì il giorno dopo in una camera d’albergo. Era uno dei personaggi più straordinari dell’800:

Heinrich Schliemann, lo “scopritore di Troia”, il mercante che aveva dedicato la sua vita all’archeologia.

La vita di Heinrich Schliemann (nasce a Neubuckow, in Germania, il 6 gennaio 1822) garzone miserrimo, capitalista fortunato, che parte per l’Asia Minore alla scoperta di Troia, va collocata nel Pantheon dell’entusiasmo e della vitalità europea, in quella schiera di figure gigantesche che l’Ottocento produsse con generosità ineguagliabile.

Municipio di Neubukow, Meclemburgo-Pomerania Anteriore, Germania

Il ragazzo che ascolta dal padre, un povero pastore protestante, le leggende del natìo Mecklemburgo è lo stesso che andrà in Grecia e nella Troade con i libri di Omero in pugno. Le stigmate romantiche del “rimpianto lirico per il passato”, come lo chiama Thomas Mann, sono impresse nel ragazzo, fervente sognatore; e basta la povera incisione di una “Storia Universale”raffigurante Troia in fiamme per far gridare al bambino di otto anni che un giorno andrà a scavare a Troia. Ma l’umile felicità nelle campagne della Prussia si interrompe bruscamente: la morte della madre, una relazione amorosa del padre e lo scandalo che ne seguì, privandolo della parrocchia, segnarono l’irrompere del dolore nella vita del piccolo Heinrich.

Lasciata la casa paterna, si trasferisce dallo zio: a quattordici anni interrompe gli studi per guadagnarsi da vivere come garzone in una drogheria. Ha inizio la sua leggenda. Per cinque anni lavora da garzone, la notte studia. Viaggia a piedi fino ad Amburgo, si imbarca come mozzo. Il naufragio sembra inevitabile in questa esistenza di piccolo Crusoe, e infatti arriva. Scaraventato su una spiaggia olandese, Schliemann decide di dare l’addio al mare e di farsi soldato. Ma un amico d’infanzia di sua madre si commuove e gli trova posto in un ufficio commerciale. Qui lavora e studia le lingue, l’una dopo l’altra: l’inglese, il francese, l’olandese, lo spagnolo, l’italiano, il russo. Il suo metodo precorre l’odierna pedagogia linguistica: niente grammatica ma solo letture alternate a traduzioni. Legge per strada, quando va per commissioni, alla posta mentre aspetta, di notte.

Nel 1844, a ventidue anni, migliora la sua condizione: impiegato. Due anni dopo

i suoi datori di lavoro lo mandano come agente a Pietroburgo. E’ l’inizio di una favolosa fortuna commerciale, creata con audacia e senso degli affari degni di un grande capitano d’industria. Il sogno del mondo omerico guida la sua fatica. Un affare dopo l’altro, un viaggiare frenetico. Si sposa, impara lo svedese e il polacco e abbraccia, infine, quella che sarà la sua seconda lingua: il greco.

Viaggia in Egitto, Palestina, India, Cina, Giappone. La sua fortuna è all’apice, a soli quarantadue anni: per molti sarebbe un grande traguardo, per lui è solo il punto di partenza. Si iscrive alla facoltà di Archeologia di Parigi, studia per altri cinque anni. Infine, liquida la ditta e salpa verso i mari di Ulisse.

Il 6 luglio 1868, a quarantasei anni, Schliemann tocca per la prima volta il suolo greco lasciandosi alle spalle una immensa fortuna e una moglie frigida, avida e bizzarra. Dal momento in cui pone piede a Itaca, vive come in un incantesimo. Si aggira tra gli uliveti, l’Odissea in mano. “Nell’Odissea il posto è descritto con tale precisione che non si può sbagliare”, scrive quando cerca il luogo dove i Feaci sbarcarono Ulisse. L’ha detto Omero, non si può sbagliare. Per localizzare il luogo dove giace Troia si mette a correre, alla sua età, intorno alla collina di Hyssarlik tanti stadii quanti Omero ne fa correre agli eroi che si inseguono lottando. Lo prendono in giro per quella cieca fede. Ma ha ragione lui. Schliemann crede in Omero, gli è conforto e guida. Conduce un’esistenza che sarebbe troppo definire frugale: pane e acqua, qualche frutto, qualche pesce quando si trova. Si alza alle quattro del mattino, se il mare è vicino fa una breve nuotata; l’acqua marina è alla base di una sua personalissima medicina, con cui guarisce piaghe e malattie. Il suo abuso gli causerà un’otite cronica che lo condurrà alla morte.

A Corinto Troia e Micene passa le notti in miserrime osterie, in stalle infestate da insetti, sotto il cielo stellato. Uomo freddo e impassibile, Schliemann si commuove solo quando trova il “tesoro di Priamo”, come lo chiama lui, e lo scrigno delle tombe dei re di Micene.

Non si può restare impassibili di fronte all’avventura umana di questo apostolo di Omero. Anche gli archeologi professionisti, pur criticando il suo dilettantismo, si inchinarono di fronte alla sua tenacia, alla sua omerica “follia”.

E’ vero, egli non trovò la Troia di Omero: ne scavò molti strati, la sfiorò, senza riuscire a identificarla. Ma che importa? Schliemann non fu un archeologo puro: gli mancò il vero interesse dell’archeologo moderno che mira a ricostruire le condizioni ambientali di una civiltà. Fu un cercatore d’oro, ma il più grande della storia umana. Le maschere, le collane, le else degli antichi re, gli ornamenti che forse sfiorarono i seni di Elena e che ora adagiava sul collo e le braccia di Sophia, la sua giovane moglie greca, divennero per lui magiche reliquie.

La gloria arrivò tardi. Riconoscimenti accademici, la cittadinanza onoraria di Berlino e poi quella della Grecia consolarono il suo tramonto.

Dopo Troia e Micene rivolse la sua attenzione a Creta, ma non ebbe uguale fortuna. I suoi dei, i suoi eroi, il suo Omero non vollero o non poterono concedergli di più. La terra si richiuse sulla bacchetta di questo straordinario rabdomante. Noiose polemiche, soprattutto da parte di dilettanti invidiosi, lo turbarono.

Morì a Napoli, come abbiamo visto, il 26 dicembre del 1890; e nessuno inizialmente riconobbe (tranne il suo medico curante, prof. Cozzolino) quel naufrago solitario, quell’uomo vestito di abiti dimessi crollato privo di sensi in piazza della Carità. La sua morte fu dovuta probabilmente ad un ascesso cerebrale (purtroppo non fu eseguita l’autopsia), secondario ad una otite acuta purulenta e perforante; anche se ci fu chi attribuì la sua morte ad altre cause, avvolte dal mistero.

Il giornalista Mario La Ferla, ad es., in un suo libro (“L’ultimo tesoro. La vita segreta e la morte sospetta di Schliemann”) sostiene che la sua morte “somiglia a quella di molti protagonisti delle storie più recenti di brigantaggio politico e finanziario del nostro Paese”.

Mario La Ferla

Insomma, Schliemann sarebbe stato avvelenato dalla camorra o dalla mafia (il dubbio non è mai stato chiarito) con cui aveva fatto affari lucrosi per vendere in giro per l’Europa, in modo fraudolento, i tesori scoperti.

Avremmo potuto dire di più sul suo conto, avremmo potuto e avremmo voluto: ma non c’è spazio che possa contenere tutto ciò che quest’uomo ha seminato e raccolto.

Lo lasciamo nelle braccia del Fato, lì tra il golfo delle Sirene e la Selva della maga Circe, sulle tracce dell’ultimo folle viaggio di Ulisse.

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